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"Valuto, ergo sum" di Maria Carla Vian
La penna, il registro, la ricerca
lenta, studiata dell’incrocio esatto tra nome (il nostro?) e la data (quella
della nostra esecuzione?). Il sorriso (di sufficienza? di compatimento?
di sottile sadismo?) e poi, veloce, impercettibile il gesto che poneva
definitivamente su carta il fatto che fossimo intelligenti o cretini, vincenti
o perdenti. Impercettibile, spesso indecifrabile, il gesto, perché
tanto più misterioso, imponderabile, inappellabile era il giudizio,
tanto più forte risultava il potere di chi lo emetteva.. Tornati
al posto poi, gli esperti dei primi banchi (c’erano sempre degli esperti
decodificatori, di solito affiancati da solidali suggeritori in quelle
che erano sofferte, lunghissime agonie in piedi alla cattedra o alla lavagna)
emettevano il loro parere (“E’ sicuramente un sei, non hai visto che ha
tracciato il tondo del voto?”).Tutto questo accompagnato da una profonda
tensione fisica prima ancora che psicologica e da un senso di ancora più
profonda frustrazione. Da qui il “mai più”, il “io non lo farò
mai!”. Certo, valutare è stato per tanto tempo (e lo è ancora
più di quello che noi amiamo raccontarci in convegni e dibattiti)
esprimere un profondo senso di potere. Soprattutto se questa valutazione
non può essere a sua volta valutata, se riguarda solo chi è
valutato e non il valutatore. E’ però anche un’insopprimibile necessità,
tanto importante quanto più si delinea in termini precisi e mediati
il contratto formativo che intercorre tra noi e i nostri studenti. Come
altro si può giudicare a quale punto del cammino ci troviamo? Come
individuare i problemi individuali e collettivi? Come cogliere che cosa
modificare in itinere?
Per molto tempo, sulla scorta
dell’infelice esperienza sopracitata e comune alla maggior parte degli
insegnanti, abbiamo cercato di rendere la valutazione meno traumatica possibile
con ogni genere di “escamotage”: da scientifiche tabelle e relative curve
statistiche che prendevano andamenti sinuosi e compiacenti a seconda di
quello che volevamo dimostrare, alle prove strutturate che non tenevano
conto degli errori, alle interrogazioni programmate, a quelle di gruppo
…
Ma ben presto abbiamo dovuto
arrenderci di fronte ad un fatto inconfutabile: abbassare le richieste
da parte degli insegnanti porta, in tempi molto brevi, a far diminuire
sia in qualità sia in quantità le prestazioni degli studenti.
In parole povere: più basse sono le nostre richieste e quindi le
nostre aspettative, più le risposte degli studenti non solo si adeguano
al ribasso, ma calano ulteriormente
Non è questa, quindi,
la strada per raggiungere risultati adeguati e allora come perseguire l’obiettivo
di fondo che sta alla base del nostro lavoro: riuscire ad avere una scuola
di qualità e allo stesso tempo di massa? Non è questo il
luogo per un discorso complessivo su di un tema di tale portata, qui proviamo
a tracciarne solo la parte finale che è proprio la valutazione provando
ad esprimere alcune brevi e semplici riflessioni di fondo.
Come si valuta in una scuola
che vorrebbe mantenere una qualità adeguata anche in presenza dei
grandi numeri? Si prova innanzi tutto a ripensare ad alcuni elementari
passaggi:
-
Valutare è una delle
attività fondamentali dell’essere umano e quella che più
di altre gli ha permesso di sopravvivere. Non ci si può quindi sottrarre
né al fatto di essere valutati né al fatto di essere costretti
a valutare;
-
Valutare significa giudicare
un lavoro, non la persona che lo ha fatto;
-
Valutare uno studente significa
autovalutare il proprio lavoro;
-
Valutare è un’operazione
estremamente complessa perché contemporaneamente dobbiamo tener
presenti moltissime variabili anche quelle legate alla nostra particolare
e contingente situazione nel momento in cui formuliamo la valutazione stessa;
-
Valutare non significa emettere
giudizi assoluti e inappellabili: più numerose sono le verifiche,
e di conseguenza le valutazioni, e meno “vitali” risultano al fine complessivo.
Vengono quindi in un certo qual modo alleggerite dell’eccessiva tensione
emotiva sia da parte di chi valuta sia da parte di chi è valutato.
Ecco quindi che molte cose si
ridimensionano: si tratta “semplicemente” di utilizzare delle tecniche
in modo adeguato per ottenere dei risultati. A seconda di ciò che
vogliamo valutare useremo quindi delle tecniche diverse:
-
Se dobbiamo verificare l’abilità
di analisi, sintesi e in generale per l’applicazione di conoscenze possiamo
utilizzare prove scritte non strutturate come temi, problemi, questionari,
relazioni, analisi di testi. Il rischio della scarsa precisione nella valutazione
può essere attenuato mediante l’uso di griglie di correzione che
esplicitino i criteri di correzione e i livelli della valutazione espressi
in decimi.
-
Se dobbiamo verificare obiettivi
di conoscenza e comprensione, invece, le prove strutturate risultano particolarmente
efficaci e garantiscono maggiore oggettività, ampia rilevazione
e notevole risparmio di tempo.
-
Se dobbiamo verificare l’abilità
di comunicazione e di strutturazione logica del discorso e il raggiungimento
di alcuni obiettivi importanti riguardanti l’arricchimento del lessico,
la capacità di usare termini tecnici adeguati, il superamento di
difficoltà comunicative e relazionali, invece, è fondamentale
utilizzare prove orali (si possono ancora chiamare interrogazioni o è
una bestialità?). Per ovviare almeno in parte la difficoltà
a dare un giudizio oggettivo in una prova complessa come l’interrogazione
dove in gioco ci sono moltissimi fattori, molti più che nelle altre
prove, può essere consigliabile l’utilizzo di griglie di valutazione
che contengano parametri uguali per tutti e siano utilizzate nel corso
del colloquio.
Attenzione quindi a due aspetti
fondamentali e non ovvi di tutto questo elenco: ogni tipologia di verifica
ha alcuni punti di forza e molti punti di debolezza che si accentuano se
noi la adoperiamo fideisticamente, a scatola chiusa. Non esiste una tipologia
migliore delle altre, né una più adatta al nostro modo di
insegnare, esistono variabili differenti da testare in modo diverso.
Chi ha sulle spalle centinaia
di prove strutturate e di griglie di valutazione sa quanti “buchi” queste
prove lascino nell’individuazione delle capacità e delle lacune
degli studenti e non si azzarderebbe mai ad affidarsi soltanto a questo
tipo di verifica per valutare il proprio lavoro e quello della classe.
Sa anche, però, quanto efficaci, veloci e oggettive si rivelino
per capire quali conoscenze risultino sicure e quali invece abbiano bisogno
di rinforzo. Così per le altre tipologie di prova che vanno sempre
affiancate e soprattutto filtrate attraverso l’esperienza didattica quotidiana.
Ricordiamoci, comunque,
che la fase di verifica non è soltanto un ragionieristico “tirare
le somme”, ma può anche essere l’occasione di rilevare la presenza
di risposte divergenti cui si può dare spazio, che possono rivelare
insospettate individualità all'interno dei rapporti di classe e
che hanno la capacità di generare proficue discussioni e approfondimenti.
Può servire inoltre all'individuazione proprio di quelle eccellenze
che spesso nella routine quotidiana sono trascurate. Sta all'esperienza
e alla sensibilità didattica di ogni insegnante valutare quanto
e come dare spazio a ciò.
E’ fondamentale, veramente
fondamentale, esplicitare, discutere anche animatamente, se necessario,
con gli studenti sui criteri di valutazione, ma è altrettanto fondamentale
avere sempre l’ultima parola perché l’onere della valutazione sta
a noi, non a loro. Diversamente, rischiamo di innescare processi di confusione
di ruoli, di conflitti interni alla classe stessa che non possono portare
frutti positivi.
In pratica: delineiamo da
subito le regole del gioco, facciamo vedere i “segnapunti” utilizzati durante
la partita, ma non discutiamo mai il conseguente risultato finale dato
dall’azione complessiva di tutte le parti. La valutazione non si mercanteggia,
se ne possono discutere i criteri se questi sembrano non funzionare, ma
per il gioco successivo.
numero 4/2001
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