Partendo dalla riflessione sul significato della protesta universitaria
che, con delegazioni da tutta Italia, si è svolta ieri alla Sapienza
di Roma è importante sottolineare un punto: d’ora in avanti, non dovrà
più accadere che le iniziative di mobilitazione, come è stato per
le molte degli ultimi tempi (da quelle contro il commissariamento
degli Enti scientifici a quelle contro le circolari sulle iscrizioni
scolastiche e per il tempo pieno), siano progettate separatamente,
isolando i singoli settori. L’attacco che il governo sviluppa contro
il sistema pubblico della formazione e della ricerca è complessivo,
e complessiva deve essere la risposta, in termini non solo di protesta
ma anche di proposta.
Se mai qualcuno avesse pensato che non c’è rapporto tra scuole dell’infanzia
e CNR, il ministro Brichetto Moratti ha dato importanti contributi
per chiarire a tutti la perversa unitarietà della sua strategia; cito
tre esempi, tra i molti possibili. Sul piano economico, non vi è solo
la stretta finanziaria, ma la teorizzazione della minimalità dell’intervento
pubblico: negli Enti scientifici si pagano solo gli stipendi e per
fare ricerca si trovino fondi esterni, nelle scuole si riduce l’orario
obbligatorio e per attività opzionali si cerchino contributi. Sul
piano del personale, si moltiplica il precariato scolastico non coprendo
-contro la legge- i posti vuoti (a fronte di circa centomila vacanze,
sono state sbandierate qualche mese fa quindicimila assunzioni, tuttora
lungi dall’essere eseguite); al contempo, per l’università si propone
una legge centrata su assegni co-co-co, con la conseguente impossibilità
di dare prospettive certe ai ricercatori giovani (si fa per dire:
fin verso i quarant’anni). Sul piano dell’organizzazione didattica,
si punta alla divaricazione tra intelletto e mani: licei da una parte
e formazione professionale dall’altra fin dai tredici anni, poi curricoli
universitari separati già dal secondo anno universitario per chi viene
immesso in un percorso che consenta la prosecuzione degli studi e
per chi entrerà nel mercato del lavoro con il primo livello di laurea.
L’attacco che il ministro ha sviluppato su tanti fronti ha perciò
moltiplicato le reazioni, fino a quella dei Rettori universitari;
le siamo grati, ma la mera protesta non ci basta. Sembra avvicinarsi
il momento in cui l’attuale opposizione potrà divenire maggioranza,
ed è indispensabile che per l’area della formazione e dell’innovazione,
decisiva per il Paese se esso vuole riprendersi dal declino, il centrosinistra
costruisca un programma di governo: e lo costruisca non attraverso
mere trattative di vertici di partito, ma in forte rapporto con la
società civile.
E’ questo il tema sul quale, con alcuni colleghi, stendemmo alcuni
mesi fa un documento-appello, un "Patto per la Scuola, l’Università
e la Ricerca". Nonostante la povertà di mezzi di diffusione (solo
il moderno tam-tam sulla rete), molte migliaia di firme giunsero in
poco tempo dalle scuole, dagli atenei, dalle strutture scientifiche;
bastava presentare l’appello in occasione di riunioni o convegni e
le adesioni erano non solo immediate, ma convinte. Sono attualmente
oltre seimila.
Il "Patto" pone, oltre ad impegni per il mondo scolastico
e scientifico, due precise richieste ai partiti dell’intera opposizione:
pronunciarsi formalmente sulla priorità di questo tema, e trovare
forme adeguate per elaborare insieme, non solo al centro ma anche
nelle diverse realtà locali (ci sono le elezioni amministrative oltre
alle europee!), i concreti progetti. Abbiamo avuto qualche risposta,
due riunioni collegiali con i Responsabili di settore e con i Parlamentari
dell’Ulivo e incontri singoli con alcuni Segretari (Diliberto, Fassino,
Rutelli); ogni volta, la prospettiva di passare finalmente a una fase
operativa sembra prossima, ma ogni volta i tempi poi slittano.
Vi è, ora, l’impegno a promuovere un vertice dei Segretari, che nel
momento attuale avrebbe un particolare valore politico. A fronte della
pluralità delle liste europee, il popolo progressista, moderato o
radicale che sia, accoglierebbe con gioia un segnale unitario: non
basta dire a parole che tali liste non si faranno la guerra, occorre
costruire fin da adesso, accanto all’azione elettorale divisa, strumenti
di azione comune.
Abbiamo letto nell’intervista di Andrea Ranieri sull’Unità di domenica
8 febbraio l’idea di una grande manifestazione, che metta insieme
le maestre e i Premi Nobel; è un’ottima proposta e va nella direzione
auspicata, ma guai se ci limitassimo alla manifestazione. Essa deve
essere non un episodio isolato, ma una tappa in un percorso coerente
e largamente partecipato: preceduta da una seria definizione della
piattaforma su cui essa si deve collocare, immediatamente seguita
da ulteriori elaborazioni che portino a un vero e proprio programma
di governo.
Dopo le elezioni del 1996 si giunse fino al 2000 prima di approvare
la legge di riforma dei cicli scolastici: nel 2001 essa non poteva
essere ancora operante, sicché il ritardo fu determinante per consentire
alla nuova maggioranza di avviare la sua azione distruttrice. La prossima
volta non deve accadere, anche se non basteranno certo i famosi primi
cento giorni per rimediare ai danni e per ricostruire. Proprio perché
l’azione dovrà essere lunga e progressiva, occorre perciò che non
si perda un minuto: gli obiettivi, e la strategia per raggiungerli,
vanno chiariti da ora.