Cara/o collega,
il 25 e 26 giugno prossimi si voterà per il referendum confermativo
sulla Legge costituzionale Modifica della Costituzione della
Repubblica italiana approvata dal Parlamento nella passata legislatura
(G.U. n. 269 del 18 novembre 2005).
Nella nostra Costituzione, un patto scritto, maturato dopo
i disastri di una dittatura e di una guerra mondiale attraverso
la Resistenza, è stabilito ciò che è comune,
al di là delle differenze, ai vari gruppi sociali, ed è
riconosciuto perciò come utile per tutti e per
ciascuno. Un patto che, nato da un vitale e saggio compromesso tra
differenti ispirazioni ideali e culturali, porta tuttavia limpronta
di uno spirito universale e, in un certo modo, transtemporale,tale
da poter considerare la nostra come la Costituzione di tutti.
Un patto che contiene anche un progetto di futuro della nostra comunità
nazionale.
Ciò nonostante, anche la Costituzione può subire modifiche;
possibilità peraltro prevista allarticolo 138, fatte
salve alcune garanzie procedurali: nel nostro caso si dà luogo
a un referendum richiesto da più di 500.000 cittadini
dal momento che la legge di modifica è stata approvata
dal Parlamento con la sola maggioranza semplice e non a maggioranza
dei due terzi di ciascuna delle Camere.
Dal 1948, anno dalla sua entrata in vigore, fino ai giorni nostri,
oltre una trentina di cosiddette Leggi costituzionali hanno apportato
modifiche, in genere assai limitate, alla nostra Costituzione, la
maggior parte delle quali volte a migliorare il sistema delle autonomie
e il governo della cosa pubblica. Ciò, tuttavia, è avvenuto
senza mai stravolgere il senso complessivo e i principi democratici
a cui si ispira la nostra Carta Costituzionale.
Che cosa, dunque, rispetto al passato, differenzia profondamente da
quelle precedenti la Legge costituzionale del 18 novembre 2005 su
cui saremo chiamati a votare al referendum di fine giugno?
Per quanto a prima vista appaia complicato, giova osservare la struttura
della nostra Costituzione. Anche solo a leggerne i titoli, se ne coglie
il complesso ma coerente intreccio tra le sue varie parti, tale da
farne un Corpus di principi e di regole ordinamentali assai compatto.
Il disegno costituzionale è organico, pensato, pur nella sua
complessità, con coerenza: basti considerare lassoluta
corrispondenza con i Principi fondamentali delle parti
prima e seconda, Diritti e Doveri dei cittadini e Ordinamento
della Repubblica, e, altrettanto importante perché tutto
si regga, nella seconda parte, lequilibrio dei poteri e delle
funzioni istituzionali, a garanzia di quei principi che caratterizzano
la nostra Carta Costituzionale come una tra le più democratiche.
Ora, la legge su cui saremo tutti chiamati a esprimerci con un Sì
o con un No, reca un tale stravolgimento della seconda parte della
Costituzione, Ordinamento della Repubblica (si modificano
ben 55 articoli), da lederne gravemente regole e principi fondamentali
contenuti anche nelle parti non soggette a modifica, con un effetto
stravolgente sullimpianto complessivo della Costituzione.
Si veda il caso dellordinamento scolastico. La Legge di modifica
assegna in modo esplicito alle Regioni la potestà legislativa
esclusiva sullorganizzazione scolastica, sulla gestione degli
Istituti scolastici, sulla definizione della parte dei programmi scolastici
di interesse specifico delle singole Regioni, oltre che sullistruzione
e la formazione professionale. Ribadisce che listruzione diventa
materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni e che allo
Stato sono assegnate le norme generali sullistruzione:
due disposizioni, queste ultime, peraltro già introdotte con
la Legge costituzionale n.3/2001. Questa complessiva impostazione,
alla luce della norma contenuta nellarticolo 119 (anche questa
introdotta con Legge costituzionale n.3/2001) che riconosce a Comuni,
Province, Città metropolitane e Regioni lautonomia finanziaria
di entrata e di spesa norma che la Legge costituzionale, che
ora siamo chiamati a votare al referendum, specifica doversi attuare,
entro tre anni, sotto la voce esplicita del federalismo fiscale (Ulteriori
disposizioni 1. Federalismo fiscale e finanza statale)
porterebbe alla creazione di tanti sistemi di istruzione per
quante sono le Regioni. Il passaggio è sottile ma sostanziale:
quello che la Legge costituzionale 3/2001 configura come decentramento
di alcune funzioni («ogni materia» che non fosse «espressamente
riservata alla legislazione dello Stato»), molte delle quali
in accordo con lo Stato (legislazione concorrente) in base al principio
di un rapporto più integrato e sinergico tra centro e periferia,
con la Legge costituzionale attuale, attraverso il federalismo fiscale
- cosa diversa dallautonomia finanziaria, riconosciuta a tutti
gli Enti locali - darebbe luogo alla frantumazione del sistema scolastico
nazionale in tanti sistemi scolastici regionali. Tali sistemi risulterebbero
inevitabilmente diversi per disponibilità di risorse
peraltro insufficienti in molte Regioni , per scelte culturali,
per organizzazione e gestione, creando, tra laltro, una costosa
moltiplicazione degli apparati amministrativi.
Principi e regole come quelli contenuti negli articoli 3, 33, 34 (Rimuovere
gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione alla vita pubblica,
La libertà di insegnamento, Listituzione
di scuole statali di ogni ordine e grado, Il diritto per
enti e privati di istituire scuole senza oneri per lo Stato,
La scuola aperta a tutti, Il diritto allo studio
ecc.) a quante diverse interpretazioni darebbero luogo? E con quale
disparità di mezzi e di condizioni, da Regione a Regione? E
quanto minori garanzie di una piena e omogenea tutela dellautonomia
scolastica - pur costituzionalmente riconosciuta - potranno prevedersi
a fronte della potestà legislativa esclusiva assegnata a ciascuna
Regione «sulla organizzazione» e «sulla gestione
degli Istituti scolastici»?
La Costituzione è stata fino a oggi per il nostro Paese fattore
fondamentale di coesione sociale, culturale, politica, morale, di
solidarietà e di crescita civile e democratica; e la scuola
pubblica statale, che da essa trae mandato, pur con molti ritardi,
ne rappresenta lo strumento più efficace - anche attraverso
il perseguimento di pari traguardi educativi - per la costruzione
di unetica pubblica laica e condivisa, con la garanzia per tutti
di una piena cittadinanza. Il venir meno del carattere nazionale e
istituzionale della nostra scuola in cambio di tanti sistemi scolastici
per quante sono le Regioni, ridimensiona la possibilità di
scelte strategiche di lungo periodo nei processi di alfabetizzazione
della popolazione; tende a far mutare lidea stessa di cultura
scolastica, meno orientata a una completa, disinteressata,
lungimirante educazione della persona, e più soggetta a quei
condizionamenti spesso maturati sulla base di visioni riduttive e/o
localistiche del mercato. Fa assumere un significato diverso al lavoro
dei docenti, non più collocato allinterno di un impegnativo
disegno nazionale.
Ulteriori considerazioni critiche si possono fare su altri passaggi
della Legge costituzionale che ci apprestiamo a votare e che riguardano
aspetti fondamentali e assai delicati del nostro sistema democratico
delineato in Costituzione, primo tra tutti lo stravolgimento della
ripartizione delle competenze istituzionali: riduzione dei poteri
di garanzia del Capo dello Stato e aumento del potere del premier,
aumento delle nomine di derivazione politica nella Corte Costituzionale,
abolizione del bicameralismo perfetto ecc.
Cara/o collega, abbiamo parlato soltanto di scuola e di Costituzione.
Riteniamo tuttavia di aver espresso, anche soltanto sotto questo profilo,
sufficienti ragioni per chiederti di andare a votare, il 25 e 26 giugno
prossimi, e di votare No al referendum di modifica della Costituzione.
È il modo per evitare al Paese divisioni e derive antidemocratiche
e, nella fattispecie, per impedire di recar danno alla scuola di
tutti e per tutti moltiplicandone le difficoltà e acuendo
il disagio di quanti in essa operano.
www.cidi.it/referendumcostituzionale.pdf