a cura di Emma Colonna
Numero 24 del 19 giugno 2006
 

Cara/o collega,

il 25 e 26 giugno prossimi si voterà per il referendum confermativo sulla Legge costituzionale “Modifica della Costituzione della Repubblica italiana” approvata dal Parlamento nella passata legislatura (G.U. n. 269 del 18 novembre 2005).
Nella nostra Costituzione, un patto scritto, maturato – dopo i disastri di una dittatura e di una guerra mondiale – attraverso la Resistenza, è stabilito ciò che è comune, al di là delle differenze, ai vari gruppi sociali, ed è riconosciuto perciò come “utile” per tutti e per ciascuno. Un patto che, nato da un vitale e saggio compromesso tra differenti ispirazioni ideali e culturali, porta tuttavia l’impronta di uno spirito universale e, in un certo modo, transtemporale,tale da poter considerare la nostra come la Costituzione “di tutti”. Un patto che contiene anche un progetto di futuro della nostra comunità nazionale.
Ciò nonostante, anche la Costituzione può subire modifiche; possibilità peraltro prevista all’articolo 138, fatte salve alcune garanzie procedurali: nel nostro caso si dà luogo a un referendum – richiesto da più di 500.000 cittadini – dal momento che la legge di modifica è stata approvata dal Parlamento con la sola maggioranza semplice e non a maggioranza dei due terzi di ciascuna delle Camere.

Dal 1948, anno dalla sua entrata in vigore, fino ai giorni nostri, oltre una trentina di cosiddette Leggi costituzionali hanno apportato modifiche, in genere assai limitate, alla nostra Costituzione, la maggior parte delle quali volte a migliorare il sistema delle autonomie e il governo della cosa pubblica. Ciò, tuttavia, è avvenuto senza mai stravolgere il senso complessivo e i principi democratici a cui si ispira la nostra Carta Costituzionale.
Che cosa, dunque, rispetto al passato, differenzia profondamente da quelle precedenti la Legge costituzionale del 18 novembre 2005 su cui saremo chiamati a votare al referendum di fine giugno?
Per quanto a prima vista appaia complicato, giova osservare la struttura della nostra Costituzione. Anche solo a leggerne i titoli, se ne coglie il complesso ma coerente intreccio tra le sue varie parti, tale da farne un Corpus di principi e di regole ordinamentali assai compatto.

Il disegno costituzionale è organico, pensato, pur nella sua complessità, con coerenza: basti considerare l’assoluta corrispondenza con i “Principi fondamentali” delle parti prima e seconda, “Diritti e Doveri dei cittadini” e “Ordinamento della Repubblica”, e, altrettanto importante perché tutto si regga, nella seconda parte, l’equilibrio dei poteri e delle funzioni istituzionali, a garanzia di quei principi che caratterizzano la nostra Carta Costituzionale come una tra le più democratiche. Ora, la legge su cui saremo tutti chiamati a esprimerci con un Sì o con un No, reca un tale stravolgimento della seconda parte della Costituzione, “Ordinamento della Repubblica” (si modificano ben 55 articoli), da lederne gravemente regole e principi fondamentali contenuti anche nelle parti non soggette a modifica, con un effetto stravolgente sull’impianto complessivo della Costituzione.

Si veda il caso dell’ordinamento scolastico. La Legge di modifica assegna in modo esplicito alle Regioni la potestà legislativa esclusiva sull’organizzazione scolastica, sulla gestione degli Istituti scolastici, sulla definizione della parte dei programmi scolastici di interesse specifico delle singole Regioni, oltre che sull’istruzione e la formazione professionale. Ribadisce che l’istruzione diventa materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni e che allo Stato sono assegnate le “norme generali sull’istruzione”: due disposizioni, queste ultime, peraltro già introdotte con la Legge costituzionale n.3/2001. Questa complessiva impostazione, alla luce della norma contenuta nell’articolo 119 (anche questa introdotta con Legge costituzionale n.3/2001) che riconosce a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa – norma che la Legge costituzionale, che ora siamo chiamati a votare al referendum, specifica doversi attuare, entro tre anni, sotto la voce esplicita del federalismo fiscale (“Ulteriori disposizioni” – 1. “Federalismo fiscale e finanza statale”) – porterebbe alla creazione di tanti sistemi di istruzione per quante sono le Regioni. Il passaggio è sottile ma sostanziale: quello che la Legge costituzionale 3/2001 configura come decentramento di alcune funzioni («ogni materia» che non fosse «espressamente riservata alla legislazione dello Stato»), molte delle quali in accordo con lo Stato (legislazione concorrente) in base al principio di un rapporto più integrato e sinergico tra centro e periferia, con la Legge costituzionale attuale, attraverso il federalismo fiscale - cosa diversa dall’autonomia finanziaria, riconosciuta a tutti gli Enti locali - darebbe luogo alla frantumazione del sistema scolastico nazionale in tanti sistemi scolastici regionali. Tali sistemi risulterebbero inevitabilmente diversi per disponibilità di risorse – peraltro insufficienti in molte Regioni –, per scelte culturali, per organizzazione e gestione, creando, tra l’altro, una costosa moltiplicazione degli apparati amministrativi.

Principi e regole come quelli contenuti negli articoli 3, 33, 34 (“Rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione alla vita pubblica”, “La libertà di insegnamento”, “L’istituzione di scuole statali di ogni ordine e grado”, “Il diritto per enti e privati di istituire scuole senza oneri per lo Stato”, “La scuola aperta a tutti”, “Il diritto allo studio” ecc.) a quante diverse interpretazioni darebbero luogo? E con quale disparità di mezzi e di condizioni, da Regione a Regione? E quanto minori garanzie di una piena e omogenea tutela dell’autonomia scolastica - pur costituzionalmente riconosciuta - potranno prevedersi a fronte della potestà legislativa esclusiva assegnata a ciascuna Regione «sulla organizzazione» e «sulla gestione degli Istituti scolastici»?

La Costituzione è stata fino a oggi per il nostro Paese fattore fondamentale di coesione sociale, culturale, politica, morale, di solidarietà e di crescita civile e democratica; e la scuola pubblica statale, che da essa trae mandato, pur con molti ritardi, ne rappresenta lo strumento più efficace - anche attraverso il perseguimento di pari traguardi educativi - per la costruzione di un’etica pubblica laica e condivisa, con la garanzia per tutti di una piena cittadinanza. Il venir meno del carattere nazionale e istituzionale della nostra scuola in cambio di tanti sistemi scolastici per quante sono le Regioni, ridimensiona la possibilità di scelte strategiche di lungo periodo nei processi di alfabetizzazione della popolazione; tende a far mutare l’idea stessa di cultura scolastica, meno orientata a una completa, “disinteressata”, lungimirante educazione della persona, e più soggetta a quei condizionamenti spesso maturati sulla base di visioni riduttive e/o localistiche del mercato. Fa assumere un significato diverso al lavoro dei docenti, non più collocato all’interno di un impegnativo disegno nazionale.

Ulteriori considerazioni critiche si possono fare su altri ‘passaggi’ della Legge costituzionale che ci apprestiamo a votare e che riguardano aspetti fondamentali e assai delicati del nostro sistema democratico delineato in Costituzione, primo tra tutti lo stravolgimento della ripartizione delle competenze istituzionali: riduzione dei poteri di garanzia del Capo dello Stato e aumento del potere del premier, aumento delle nomine di derivazione politica nella Corte Costituzionale, abolizione del bicameralismo perfetto ecc.

Cara/o collega, abbiamo parlato soltanto di scuola e di Costituzione. Riteniamo tuttavia di aver espresso, anche soltanto sotto questo profilo, sufficienti ragioni per chiederti di andare a votare, il 25 e 26 giugno prossimi, e di votare No al referendum di modifica della Costituzione.
È il modo per evitare al Paese divisioni e derive antidemocratiche e, nella fattispecie, per impedire di recar danno alla scuola “di tutti e per tutti” moltiplicandone le difficoltà e acuendo il disagio di quanti in essa operano.

www.cidi.it/referendumcostituzionale.pdf


 
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