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Scuola dell'infanzia dove vai?

L’anno ponte, giunto ormai al capolinea, ci consegna alcune riflessioni che vorremmo utilizzare per sollecitare chi ha responsabilità politiche a cercare le soluzioni più adeguate ai problemi che vengono segnalati dagli insegnanti della scuola dell’infanzia.
Se la scuola ha oggi bisogno di certezze, di serenità istituzionale, di un rinnovato patto con la società, la scuola dei più piccoli in particolare ha bisogno di ritrovare centralità, attenzione, punti di riferimento convincenti e condivisi. Ha bisogno, soprattutto, di poter contare e di sentirsi coinvolta nelle scelte che la riguardano.
Registriamo infatti alcune criticità, che rischiano di alimentare il disincanto degli operatori scolastici, producendo, nei fatti, atteggiamenti professionali improntati all’individualismo e l’ impoverimento del dibattito culturale che ha accompagnato la scuola dell’infanzia, fin dall’emanazione degli Orientamenti del ’91.

La cura e la relazione educativa
Nel circoscrivere alcuni problemi, ci sembra importante cercare di capire dove nasca e come si possa sviluppare una rinnovata attenzione ai temi della cura e della relazione educativa, in un tempo in cui sembra esserci maggiore attenzione alla qualità degli ambienti e alle situazioni ad alto rischio educativo. La dimensione socio-educativa procede, invece, di pari passo con l’esperienza di prima scuola dei bambini fra i 3 e i 6 anni.

Il compito della scuola dell’infanzia, giustamente inserita nel percorso scolastico 3-19 anni, è proprio quello di intervenire sui fattori di disagio che impediscono l’ accesso, nelle fasi successive della vita, ad un apprendimento consapevole e compiuto, riconoscendo i bambini più piccoli portatori di diritti.
La scuola dell’infanzia vive con affanno la difficile, lunga fase di transizione degli ultimi dieci anni (1997 – 2007), che ha coinciso con le aspettative seguite al conferimento dell’autonomia alle scuole e, nel contempo, con le delusioni, sia pure di segno diverso, che hanno fatto seguito al periodo di governo del centro-destra e nella fase di avvio del governo dell’Unione.

Si attende da troppo tempo che alle dichiarazioni di principio e alle promesse sottoscritte dalla politica – come quelle di “ri-partire dalla scuola dell’infanzia” e di “generalizzare la scuola dell’infanzia statale e comunale” - corrispondano i fatti!

La debolezza strutturale del settore, rappresentata dalle “tante scuole” (statale, paritaria, comunale, del privato sociale), non sembra avviata a soluzione. Nonostante la legge di parità (n.62/2000), la scuola dell’infanzia statale appare ancora oggi “costretta” a gestire la domanda e la risposta educativa in una logica “mercantile”, del committente, fortemente condizionata dalle scelte individuali delle famiglie e degli enti gestori, specie privati, refrattari alle regole delle scuole del sistema pubblico.

Una scuola a più velocità
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una scuola dell’infanzia a più velocità, e ciò indipendentemente dai luoghi in cui è allocata, fra riconoscimenti internazionali e difficoltà inimmaginabili, spesso rappresentate da bambini accolti in strutture inadeguate, in situazioni in cui diventa davvero difficile, pur in presenza di insegnanti competenti, garantire nei fatti quel diritto alla “prima scuola”, scritto nella Costituzione all’art. 3.
Eppure non sono mancati in tutti questi anni appelli e proposte per riconoscere alla scuola dell’infanzia le migliori condizioni strutturali e organizzative, cui talora hanno anche corrisposto scelte di buon governo degli Enti locali e delle Regioni, a Nord come a Sud; idee e proposte raramente sorrette da un attento monitoraggio delle scelte e degli esiti allo scopo di invertire o confermare linee di tendenza.

E’ mancato, inoltre, nel periodo 2001–2006 il conforto di un dibattito pedagogico e culturale coerente con una impostazione rispettosa dell’età dei bambini e dei loro vissuti. Idee, proposte, scelte culturali si sono spesso infrante, anche per le difficoltà derivanti dalla impostazione culturale prescelta nel periodo “morattiano”, che ha snaturato gli Orientamenti del ’91. Sono state alimentate mode metodologico–didattiche, scelte culturali precociste, a danno della specificità del percorso 3–6, un’esigenza, invece, emersa con forza dalle numerose sperimentazioni (ASCANIO, ALICE, ORME) e dagli esiti della consultazione del 2000, portate a sintesi nel DM 91 mai attuato, per effetto della sospensione degli atti del governo di centro sinistra, emanati nella stagione Berlinguer/De Mauro.

Debolezze strutturali e culturali che vogliamo rappresentare per dare voce alle preoccupazioni degli insegnanti e dei dirigenti scolastici di questo settore, dopo anni di impegno culturale, proprio sul terreno della ricerca didattico educativa e delle scelte organizzative, coerenti con una diversa impostazione dei percorsi di insegnamento/apprendimento progettati per i più piccoli.

Le nuove Indicazioni
Dopo l’audizione del mondo della scuola dell’infanzia sui documenti della Commissione Ceruti (17 aprile 2007), sembra imminente la pubblicazione delle nuove Indicazioni nazionali, che sostituiranno quelle allegate al decreto legislativo 59/04.
Una scelta attesa che vorremmo corrispondesse all’esigenza di rilanciare, a partire dal settembre prossimo, un agire professionale centrato su questioni culturali, sottratte, negli ultimi anni, alla progettazione educativa.

Si dovrebbe ripartire dagli Orientamenti del ’91 e dagli esiti della consultazione del 2000, entrambe tappe importanti per la scuola dell’infanzia, l’una sul piano culturale, l’altra proiettata a definire standard qualitativi in grado di rappresentare un sistema di garanzie per la scuola dell’infanzia in tutto il Paese.
Siamo consapevoli dei cambiamenti profondi e repentini della società italiana e delle difficoltà che in essa si rappresentano, ma questa consapevolezza non ci distrae dal segnalare una preoccupazione: non si può - in ragione delle esigenze degli adulti - abbandonare la strada di una scuola dell’infanzia centrata sui bisogni e sui diritti dei bambini.

Per questo siamo contrari all’anticipo in entrata e in uscita: una scelta che se soddisfa la libertà delle famiglie, lede la libertà di ogni bambino, sottratto, nei fatti, a un percorso compiuto di avvicinamento alla conoscenza. Si rammenta in proposito che, nonostante le intese con l’ANCI, i bambini anticipatari sono accolti nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria senza che si garantiscano le condizioni previste, ma soprattutto senza che le scuole predispongano il Piano dell’Offerta Formativa tenendo conto di questo aspetto. Sarebbe importante sapere, ora che i primi anticipatari sono in terza elementare che cosa è accaduto nelle scuole che li hanno accolti, sul piano culturale e in termini organizzativi; sarebbe importante sapere quali problemi vivono i piccoli fra i 24 e 36 mesi accolti nella classe dei 3 anni senza le opportune garanzie sul piano strutturale e dell’utilizzo del personale. Non possiamo non segnalare, a questo proposito, la situazione che ci viene descritta nel privato, ivi compresa l’assenza di clausole di garanzie che impegnino i genitori ad ascoltare il parere degli insegnanti della scuola dell’infanzia prima di compiere scelte talora senza ritorno per il futuro dei loro figli.

Le sezioni aggregate
La proposta di sezioni aggregate contenuta in finanziaria, che in questi giorni ha ricevuto l’ok dalla Conferenza unificata Stato Regioni, sia pure coerente con una scelta che intende superare l’anticipo in entrata previsto dalla legge 53/03, ci suscita qualche preoccupazione per la tempistica e per le difficoltà note sul terreno dei servizi socio educativi destinati ai bambini fra i 24 e i 36 mesi, in assenza di leggi regionali e di standard qualitativi nazionali.

La scuola statale “assiste” a una nuova sperimentazione, mancando le condizioni minime per garantire il coinvolgimento nelle operazioni che porteranno a incrementare questo servizio, anche allo scopo di portarlo entro il 2010 al 33%, così come chiede l’Europa. C’è una disparità di trattamento nel Paese; la generalizzazione della scuola dell’infanzia avrebbe bisogno di altro tipo di interventi. Si riconosce che in linea di principio le sezioni aggregate, primavera, ponte possono avere un valore in sé e potrebbero dunque essere un valore aggiunto anche per la scuola dell’infanzia: uno spazio di ricerca, come dimostrano le esperienze dell’Emilia Romagna, della Toscana, del Comune di Roma; ma siamo sicuri che i rischi non superino i vantaggi? Mancano gli investimenti per la generalizzazione della scuola dell’infanzia e si fanno le sezioni aggregate. Aprire una sezione aggregata con tutte le garanzie ha un costo elevatissimo; risolve in termini di risorse (lo Stato si fa carico del rapporto nidi – infanzia), ma impoverisce, e proprio sul terreno delle risorse da destinare al percorso 3 – 6 anni e proprio nelle situazioni a rischio. Chi controllerà il rispetto delle condizioni? Noi pensiamo che spetti al livello istituzionale gestire correttamente la domanda, ma che gli impegni presi sulla generalizzazione e sullo sviluppo della scuola dell’infanzia non possono essere disattesi.

Tutti i bambini hanno diritto ad una scuola di qualità: per questo sarebbe opportuno intervenire sulla esigibilità del diritto che è - fin dalla scuola dell’infanzia - diritto alla scuola, non quello di fruire di un’offerta formativa.

Questo principio impegna lo Stato in tutte le sue articolazioni; solo il confronto sulle politiche per l’infanzia può consentire di superare la frammentazione esistente nelle diverse Regioni, imputabile anche a un sistema misto che persegue obiettivi diversi.

La formazione iniziale e in servizio
Da ultimo c’è il tema della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, un tema importante per la ricaduta che ha sul profilo culturale e professionale di chi decide di investire in questo settore. Vogliamo per questo motivo sottolineare le difficoltà che ci sono, da parte dell’università, nel riconoscere e valorizzare gli ambiti delle competenze di scuola, anche della scuola dell’infanzia. Non esiste a oggi un paritario rapporto tra scuola e università e il reciproco riconoscimento di competenze e funzioni - che pure doveva avviarsi con i corsi di Scienza della formazione primaria - non c’è mai stato: l’università sembra continuare a sottovalutate le specificità della scuola.

Su questi terreno occorre riaprire un dibattito e sollecitare la nascita e lo sviluppo di scuole che siano riconosciute come “centri autonomi di ricerca e sperimentazione”. La formazione degli insegnanti, iniziale e in servizio, si intreccerebbe allora con la ricerca sul terreno della innovazione, Occorrerà nel contempo investire sulla progettualità, sulla ricerca azione, sull’organizzazione del lavoro, sulla documentazione e diffusione di buone pratiche.

a cura di Caterina Gammaldi



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