Approvato
dal Consiglio dei Ministri il Decreto per la scuola primaria
Dopo il tormentone dei mesi trascorsi, il Consiglio dei Ministri ha
approvato venerdì 11 settembre, in prima lettura, il decreto
legislativo per la scuola primaria.
Il testo del decreto però sembra non esistere: si può
scaricare solo una specie di sommario, sufficiente comunque a farci
capire la sorte che potrebbe capitare alla scuola elementare se il lungo
iter del decreto andrà a buon fine con i contenuti attuali. Ma
come
mai si introducono in un decreto modifiche di orario e di
organizzazione (la riduzione del tempo scuola, l'azzeramento del tempo
pieno) e di stato guiridico dell'insegnante (il ripristino, di fatto,
del maestro unico e l'introduzione di una gerarchia di figure docenti)
che non solo non trovano alcuna giustificazione nella realtà
della scuola primaria (mai c'è stato un confronto aperto con
gli operatori scolastici, checchè se ne dica) ma non sono nemmeno
state oggetto di decisione parlamentare?
Staremo comunque a vedere la reazione delle Commissioni di Camera e
Senato. Per ora l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri appare
come l'ennesimo tentativo di convincere le scuole più riottose
a sperimentare un pezzetto (almeno un pezzetto!) di riforma.
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Che
fine aveva fatto la circolare n. 68?
La circolare n. 68 è ricomparsa sul sito del Miur.
Il sospetto che non si trattasse di un problema tecnico era legittimo,
dal momento che la circolare
n. 68 dichiara come "non formulati" i capoversi
5, 6, 7 della circolare
n. 62.
I capoversi della discordia (sia la CGIL scuola sia la CISL scuola hanno
avviato ricorso al Tar) facevano intendere che fosse possibile introdurre
nella scuola elementare, pur in assenza dei decreti attuativi, alcuni
punti salienti della riforma: "
è altresì
consentito arricchire le prestazioni professionali dei docenti, destinando
maggiore attenzione alle funzioni tutoriali, al coordinamento didattico,
alle attività laboratoriali, all'adozione del portfolio delle
competenze dei singoli alunni
".
Sappiamo tutti che in questo periodo le scuole elementari stanno deliberando
in merito alla sperimentazione prevista dal decreto n. 61: la scomparsa
della circolare dal sito del Miur non sembrava perciò tanto casuale!
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Le
contraddizioni di un sistema imperfetto
Da una indagine
dell'Eurispes risulta che in Italia il 62,7 % dei genitori
sono contrari al federalismo scolastico perché "crea troppe
differenze nella formazione".
Per avere un assaggio di quello che potrebbe succedere con il federalismo
scolastico basterebbe leggere alcuni dei protocolli previsti dall'Accordo
quadro, firmati dal Miur, dal MLPS e dalle singole Regioni.
..." A ciascuno il suo", direbbe Sciascia!
E mentre il Consiglio dei Ministri ricorre contro la Legge Bastico dell'Emilia
Romagna perché "eccede in competenze", i protocolli
crescono.
Attualmente le Regioni che hanno firmato sono Abruzzo, Basilicata, Campania,
Lazio, Liguria, Molise, Puglia, Sardegna, dove (si dice) partiranno
in questo mese i corsi di istruzione e formazione professionale.
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Perchè l'accordo
quadro tra Stato e Regioni?
La legge delega 53/2003 ha, tra l'altro, abolito la legge 9/99 che aveva
portato l'obbligo di istruzione a 15 anni.
Forse il Ministro non si era reso conto che l'eliminazione dell'obbligo,
in assenza di un percorso di istruzione e formazione professionale,
avrebbe lasciato un numero non marginale di ragazzi a spasso per un
anno!
Infatti i ragazzi non più obbligati a seguire un percorso di
istruzione, senza la possibilità di usufruire di una adeguata
offerta di istruzione e formazione professionale regionale, senza l'età
per iniziare un percorso di addestramento al lavoro (per legge ci vogliono
15 anni), che cos'altro avrebbero potuto fare?
Ma la
legge 53/03 dice che "è assicurato a tutti
il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o,
comunque, fino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo
anno di età; l'attuazione di tale diritto si realizza nel sistema
di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale...
La fruizione dell'offerta di istruzione e formazione costituisce un
dovere legislativamente sanzionato" (art. 2, comma 1, c).
Allora che cosa ha pensato di fare il Governo? Ha dato luogo all'Accordo
quadro tra Stato e Regioni -
approvato dalla Conferenza unificata il 19 giugno 2003 - che prevede
"specifiche intese da sottoscrivere tra ciascuna Regione, il
Miur e il MLPS, recanti le modalità, anche differenziate, con
le quali sono attivati i percorsi". Perciò, al di là
del vincolo della durata triennale, ogni Regione sta decidendo quello
che vuole, anche di non prendere alcuna iniziativa.
Con l'Accordo quadro dunque il Governo ha messo una toppa al problema
che si era aperto con l'abolizione della legge 9, permettendo in sostanza
di sperimentare, in assenza dei decreti legislativi, uno dei passaggi
più delicati e controversi della legge 53: il doppio canale subito
dopo la scuola media.
Tutto ciò, oltre a sollevare dubbi sulla legittimità dell'operazione,
ci allontana dalla possibilità di avere percorsi con standard
equivalenti, il che pone da subito il problema della riconoscibilità
in ogni Regione dei crediti e delle certificazioni.
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Se
15 ore erano poche, con 18 è arrivato lo scompiglio
La filosofia del risparmio e dei tagli alla scuola pubblica ha portato,
fra le tante nequizie, anche l'orario cattedra degli insegnanti delle
superiori a 18 ore, alimentando con ciò un clima di confusione,
di disorientamento e di tensione già alto dentro le scuole. Così
niente più ore per progettare con i colleghi percorsi disciplinari
significativi, niente più compresenze o attività didattiche
organizzate in modo flessibile. Niente più supplenze e, soprattutto,
niente più continuità! E' cambiato persino l'atteggiamento
degli insegnanti nei confronti degli studenti a danno della qualità
educativa. Un conto infatti è insegnare e programmare sapendo
di restare tre anni nella stessa classe, un conto è insegnare
sapendo che l'anno dopo si cambia giro.
Insomma, l'anno è appena cominciato ma la tensione e il disappunto
nelle scuole è già forte.
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A
proposito di laicità dello Stato
A luglio è stata approvata in via definitiva la legge che consente
agli insegnanti di religione cattolica di essere immessi in ruolo, previa
concessione dell'idoneità da parte della diocesi, attraverso
un concorso riservato. Nel caso in cui l'idoneità del vescovo
dovesse essere revocata si potrà fare ricorso alla mobilità,
ovviamente con diritto di precedenza sugli altri docenti precari.
Costo dell'operazione: circa 26 milioni di euro in due anni.
I primi di settembre viene approvato il decreto che stanzia 90 milioni
di euro, in tre anni, destinati alle famiglie (indipendentemente dal
reddito) che scelgono la scuola privata (generalmente confessionale)
per i loro figli. Stanziamenti cumulabili con quelli (in verità
molto più consistenti) di tante Regioni. Tentare di negare l'incostituzionalità
del provvedimento sostenendo che la Costituzione prevede il "senza
oneri per lo Stato" solo se riferito alle scuole private e non
alle famiglie che se ne avvalgono, fa offesa all'intelligenza di milioni
di cittadini.
Queste le più recenti (non certo le uniche) "brutte azioni"
fatte ai danni e in barba alla laicità della scuola; ma, ci chiediamo,
dove sono finiti i laici di questo Paese?
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Un
patto per la scuola, l'università, la ricerca
Continuano a giungere da tutta Italia le adesioni di insegnanti, ricercatori,
docenti universitari (circa 7.000) al documento-manifesto "Un patto
per la scuola, l'università, la ricerca" che richiama le
forze politiche di opposizione a considerare il carattere strategico
dell'istruzione e della ricerca
per la crescita civile ed economica del nostro Paese.
Per conoscere il documento collegarsi al sito www.nonunodimeno.it,
e cliccare su "Un patto per
". Per aderire cliccare,
nella medesima home page, su "Libro delle firme".
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Ulteriori
tagli ad alcune Associazioni professionali
Anche quest'anno la pratica dello spoil system applicato solo ad alcune
Associazioni è andata avanti.
A fine luglio il Miur ha comunicato alle Associazioni professionali
le utilizzazioni assegnate. Alcune di loro hanno così avuto la
sorpresa di ulteriori tagli! Ma poiché non esiste un elenco pubblico
delle Associazioni e degli Enti che usufruiscono delle utilizzazioni
e non si è mai conosciuto il numero complessivo che, di anno
in anno, viene a ciascuno di loro assegnato, nessuno saprà mai
a chi sono andate le utilizzazioni che sono state tolte (da tre anni
a questa parte) ad alcune (e solo ad alcune!) Associazioni. Né
il Ministro Moratti ha risposto all'interrogazione
parlamentare su tale questione.
Comunque, per chi ancora non lo sapesse, al Cidi
(falcidiato
nei precedenti due anni) il Ministro Moratti ha tolto
un'altra utilizzazione: ora perciò ha sette utilizzati.
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